A differenza del fondatore dei Missionari Verbiti, San Giuseppe Freinademetz era un carismatico, un uomo che guadagnava il cuore degli altri, che trascinava gli uomini. L'uomo che proveniva dal Val Badia ha voluto convertire i pagani e per questo lasciò la sua terra, alla quale era molto legato. E' entrato quindi nella Società del Verbo Divino, che oggi è conosciuta anche con il nome di Missionari Verbiti, e venne destinato molto presto per la Cina. All'inizio era legato ai suoi pregiudizi, non poteva capire che i cinesi rifiutassero lui e la sua religione, anzi che venisse considerato come un nemico. Spesso era frustrato: “Risiedeva ora in uno sporco paese di pescatori e dopo pochi giorni ebbe problemi allo stomaco e al fegato, e più tardi si ammalò pure di malaria. Freinademetz aveva lasciato una patria, amici e una posizione sicura come prete diocesano, ed ora nessuno desiderava ascoltarlo”, è scritto in una sua biografia. “I cinesi volevano vedere quell'uomo che proveniva dall'Europa, ma non erano interessati al suo messaggio. La delusione giunse a far sorgere una crisi di vocazione: Dove era la risposta di Dio di fronte al suo impegno radicale? La delusione personale lo portò ad una formulazione di un totale pregiudizio razziale: “Il carattere cinese presenta per noi europei ben poco di attrattivo” - Il cinese non è uscito dal creatore con le stesse doti come gli europei”.
Ma Freinademetz non si dette per vinto, cominciò subito a imparare la lingua cinese, la cultura, la spiritualità, quindi a poco a poco sbocciò la comprensione e l'amore verso gli stessi cinesi. Giuseppe Freinademetz, missionario pellegrino, andò di villaggio in villaggio con un catechista mezzo cieco e iniziò la sua predicazione. Mangiò come mangiava la gente cinese, dormì dove gli offrivano un angoletto, prese anche le pulci e pidocchi. Per lui i cinesi non erano più esseri che il suo zelo doveva convertire, ma persone, che amava di tutto cuore, per i quali si sacrificava generosamente. L'insurrezione dei boxer colpì Freinademetz, e morì dieci anni dopo, come sacrificandosi in una epidemia di tifo.
L'opera di Giuseppe Freinademetz sopravvive anche oggi nella chiesa cinese e la sua persona non è dimenticata nell'attuale Cina. Questo riguarda maggiormente la provincia dello Shandong, dove Freinademetz ha operato nel corso della sua vita. Anche lì, la sua canonizzazione, avvenuta a Roma il 5 ottobre 2003, è stata un grande avvenimento. In Cina però, la chiesa si trova ancora sotto una pressione politica. L'intera chiesa in Cina si trova oggi di fronte a grosse sfide. Per questo motivo il Papa Benedetto XVI ha scritto una lunga lettera ai cattolici Cinesi, lettera pubblicata nel giugno del 2007. Vi si manifesta la sua fraterna vicinanza e la sua gioia di fronte alla fedeltà a Cristo e alla chiesa, però si offrono anche dei punti di orientamento per la vita ecclesiale in mezzo ai “molti aspetti problematici”.
Nel 1866 Freinademetz scriveva una lettera ai suoi parenti: “Io amo la Cina e i cinesi, e sarei pronto di morire mille volte per loro. Ora, che non ho più grosse difficoltà con la lingua e conosco le tradizioni del popolo, considero la Cina come mia patria dove io desidero morire”.
Il suo desiderio si realizzò. E' stato sepolto nella casa dei missionari Verbiti a Daijia (Taikia). Durante la rivoluzione culturale la sua tomba è stata distrutta. Oggi a Taikia rimane solo una lapide ricordo. E' rimasta la sua stanza dove è morto, sede più tardi anche di un negozio. I cattolici, più tardi anche gli stranieri, possono visitarla solamente con un permesso speciale. Forse, proprio lì, si svilupperà in futuro, un luogo di pellegrinaggio e di speranza aperto a tutti coloro che vogliono venerare la figura del santo missionario verbita, San Giuseppe Freinademetz.
Giuseppe Freinademetz un santo?
Non aveva la stoffa del capo; non ha fondato nessuna congregazione religiosa e non è divenuto vescovo; è stato quasi sempre secondo. Non ha scritto alcuna importante opera teologica e non ha inventato alcun nuovo metodo missionario; non è morto martire, ma è rimasto, come molti altri, vittima di una epidemia di tifo.
Perché la chiesa proclama santo un uomo del genere?
Quando morì, un cinese disse: “Per me è come se avessi perso il padre e la madre”. Egli amava talmente gli uomini, i “suoi cinesi”, che non ritornò mai in patria, volle essere sepolto in mezzo a loro e voleva essere con loro anche in cielo. Giuseppe Freinademetz è un “santo dell'amore del prossimo”, come dice la Chiesa.
Giovanni Paolo II disse una volta: “Noi parliamo della nostra realizzazione, ma il cristiano deve pensare alla realizzazione di Cristo”. La chiesa chiama i santi “amici di Dio”. Un proverbio latino dice: “L'amicizia è volere e non volere le stesse cose”. Giuseppe Freinademetz ha vissuto questa amicizia. Egli volle ciò che voleva Cristo e non volle ciò che era inconciliabile con la volontà di Dio.
Un uomo sensibile
Anche se esigente con se stesso, non scansava le fatiche, si mortificava, limitava i bisogni personali e si sacrificava. Freinademetz era tutt'altro che una persona dura. Al contrario, era sensibile, a volte troppo sensibile, talvolta si lasciava prendere molto dai sentimenti. Il distacco dalla patria e dalla casa paterna ad esempio fu molto doloroso.
Dovendo abbandonare i cristiani di Puoli scriveva: ”Questa volta non sono riuscito a trattenere le lacrime. I buoni cristiani di Puoli mi erano ormai entrati nel cuore ...”
Confessa che le lettere che riceveva dal suo paese lo toccavano profondamente: “Non è nostalgia ... ma un sentimento speciale che mi strappa le lacrime”.
Di fronte anche alle celebrazioni religiose e la profonda partecipazione dei fedeli si commuoveva e perdeva il controllo “e le lacrime gli solcarono le pallide guance”.
Le sue lettere sono piene di toccanti esempi che mostrano chiaramente quanto egli partecipasse come uomo alla sorte dei suoi cinesi.
Ma la sua grande sensibilità non gli impedì in momenti decisivi di difendere la verità, il suo servizio cercando sempre la oggettività nel giudizio.
Un uomo esigente con se stesso
Giuseppe Freinademetz visse profondamente la povertà apostolica e obbedienza. “Fu per me una grande fortuna avere come superiore e maestro quel santo provicario – scriveva P. A. Volpert – ma fu anche una sfortuna. Già Confucio aveva detto che vivere con i perfetti è più difficile che vivere con i meno perfetti. Io ero ancora troppo imperfetto ed egli voleva troppo da me”.
I visitatori che giungevano dall'Europa, i viaggiatori e diplomatici erano impressionati dalla sua personalità. Riusciva a convincere con il suo modo di pensare e di vivere anche chi non condivideva la sua fede e le sue concezioni.
Di se stesso affermava sempre con profonda umiltà: “Sono povero e con tatti difetti, ho tanto bisogno della misericordia divina”. Però tutti concordavano sul fatto che fosse umile nel senso migliore del termine. Non era scrupoloso, ma secondo la spiritualità del tempo, molto attento di fronte al giudizio di Dio. Eppure scriveva:” Quando si è compiuto il proprio dovere e si è fatto tutto il possibile, il buon Dio deve essere benevolo .. Consideriamo la vita per ciò che essa è: una seminagione per l'eternità!”
Un pastore nato
Ha avuto un senso di cura pastorale profondo, illuminato e molto umano. Si occupava con piacere dei catecumeni e dei nuovi cristiani. Ha spesso svolto il ruolo di responsabile della formazione dei catechisti e ha indicato via di catechesi nuove. Spesso è stato incaricato di aprire nuovi territori missionari. Ha svolto anche una intensa attività di formazione in seminario ed anche con nuovi missionari, nonché nella preparazione dei giovani missionari alla professione perpetua. E diresse ripetutamente corsi di esercizi spirituali. Tra tutte queste attività trovò il tempo di preparare e pubblicare un catechismo in cinese ed elaborare norme per i catechisti.
Nonostante ciò mai faceva pensare di essere preso nel vortice di una attività febbrile o non avesse tempo per gli altri. Al contrario chi lo avvicinava rimaneva affascinato dalla sua gentilezza e dalla sua totale disponibilità per la persona che aveva davanti. Il primo cardinale cinese Mons. Tien lo sapeva per averlo sperimentato di persona: “Era sempre disponibile per gli altri, totalmente dimentico di se stesso”.
Un uomo di preghiera
“Pensi di poter diventare santo senza meditazione?... Senza meditazione la vita è persa. Scegli inoltre un giorno al mese per dedicarlo interamente alla preghiera e alla meditazione. Sono i giorni più belli e più utili della vita, nei quali lo Spirito Santo ha promesso di parlare al cuore” scriveva .
Per molti era edificante solo al vederlo pregare: “Si inginocchiava per lo più nel coro della chiesa; e per noi era sempre una straordinaria esperienza vederlo pregare. L'immagine di questo sacerdote inginocchiato a pregare è incancellabile nella mia memoria. Si aveva l'impressione che nulla potesse disturbarlo. Era un grande orante. La sua pietà era aperta e entusiasmante” ( Card. Tien ).
Trovava sempre tempo per la preghiera, specialmente alzandosi presto alla mattina quando dedicava almeno un'ora per la recita del breviario e la meditazione Celebrava la s. Messa con “dignità e devozione, senza fretta, ma anche senza molesta lentezza” (Hennighaus ).
Conosceva molto bene la Bibbia. Dalle citazioni si nota come l'ha veramente interiorizzata, e stimola tutti alla sua conoscenza .
La croce nella vita di San Giuseppe Freinademetz
La croce e la passione di Cristo sono immagini che hanno accompagnato Giuseppe Freinademetz fin da bambino. Il suo paesello di origine è proprio ai piedi del Sasso della Croce. Da studente e da giovane sacerdote si recava spesso lassù. Scriveva ai catechsitsi: “Esiste una strada che devono percorrere tutti coloro che vogliono diventare santi: la meditazione dei dolorosi patimenti di nostro Signore Gesù Cristo”.
Nelle sue delusioni intravede sempre la fertilità della via della croce. “Tutta la passione si ripete nella vita e nella storia della chiesa .... Qui la chiesa deve passare attraverso la settimana santa, sudare sangue sul monte degli ulivi, morire sulla croce; continuamente lottare e combattere, lavorare e soffrire, sopportare e sanguinare, il suo continuo carattere distintivo è il martirio cruento e incruento”.
Ciò che egli dice della chiesa vale anche per lui personalmente. Comprende che le sconfitte e le umiliazioni personali, la persecuzione fanno parte del cammino della croce.